Achille e la Tartaruga: l’Europa a due velocità

 “Achille, simbolo di rapidità, deve raggiungere la tartaruga, simbolo di lentezza. Achille corre dieci volte più svelto della tartaruga e le concede dieci metri di vantaggio. Achille corre quei dieci metri e la tartaruga percorre un metro; Achille percorre quel metro, la tartaruga percorre un decimetro; Achille percorre quel decimetro, la tartaruga percorre un centimetro; Achille percorre quel centimetro, la tartaruga percorre un millimetro; Achille percorre quel millimetro, la tartaruga percorre un decimo di millimetro, e così via all’infinito; di modo che Achille può correre per sempre senza raggiungerla”, da il paradosso di Achille e la tartaruga formulato nel V secolo a.C. da Zenone di Elea.

La soluzione matematica del paradosso di Zenone (greco) è arrivata solo nell’Ottocento, guarda caso, grazie a un matematico tedesco Karl Weierstrass. La falla nel ragionamento di Zenone derivava dal considerare infinita la somma di un numero infinito di termini, quando ciò non è sempre vero, proprio perché la somma di una serie numerica non necessariamente diverge.

A sdoganare il concetto di “un’Europa a due velocità” è stata Angela Merkel nel vertice di Malta di venerdì scorso. Sarà una coincidenza elettorale che pochi giorni dopo vede, per la prima volta dal 2010, i socialisti di Martin Schulz in testa contro la grande coalizione della Merkel (31% vs 30%) ma la situazione si surriscalda. Marine le Pen propone un referendum sull’Europa, è scettica sulla Nato ed è pronta a chiudere le frontiere stile Trump. Per la Grecia si torna a parlare di un nuovo default. Risultato: lo spread si allarga. Quello italiano ritorna sui 200 punti base, quello francese a 77, sui massimi dal 2012 e quello spagnolo a 141.

Gli ampi squilibri economici tra i Paesi Ue persisteranno soprattutto in questo periodo di palude elettorale in cui riforme e rafforzamento dell’Europa sono messi nel congelatore lasciando la regione vulnerabile a ricorrenti crisi future. Dal 1998 ad oggi l’economia italiana è cresciuta solo del 6,2%, mentre la popolazione è aumentata del 6,6%. Nello stesso periodo il reddito pro-capite dei tedeschi è aumentato del 26%. Continuare a credere che l’Europa a due velocità possa rimanere insieme nel lungo periodo senza riforme e senza un’Unione più stretta è come rimanere convinti che Achille non riuscirà mai a raggiungere e superare la tartaruga.

Per un po’ la Bce ha provato a sparigliare le carte con il quantitative easing per alleggerire la zavorra della tartaruga: l’enorme debito che si portano sulle spalle i Paesi periferici. Ma ora anche per Mario Draghi la situazione è difficile, quasi insostenibile. Il presidente della Banca Centrale Europea è tornato a difendere la moneta unica: “L’euro è irrevocabile. Il mercato unico non sopravviverà davanti a svalutazioni competitive”. Ma niente è per sempre e la Brexit ha già tracciato una faglia.

Gli attacchi del ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, si sono infittiti. Le accuse alla politica di Draghi sono utilizzati per scagionare la Germania dagli attacchi di Trump contro il surplus commerciale tedesco.

Servirebbe qualcuno che spiegasse a Schaeuble che senza l’ombrello di Draghi il tasso di crescita nell’eurozona tra il 2011 e il 2016 sarebbe stato inferiore del 5.6% (con un – 10.4 in Germania, – 7.4 in Italia,

– 5.9 in Francia). Il totale degli occupati sarebbe stato inferiore di 6,6 milioni di persone (mentre i disoccupati sarebbero stati 5,6 milioni in più). E il debito pubblico sarebbe stato pari a 10,572 miliardi (quasi 1,000 miliardi in più di quello attuale). La domanda però non è “cosa è servito in passato?” ma “cosa serve in futuro?”. La realtà dei numeri non si cambia: Achille, la Germania, corre più veloce della tartaruga, i Paesi periferici, e nel lungo periodo le distanze aumentano.

Exit

Prendete le prime lettere di un Paese europeo e aggiungeteci Exit otterrete: Brexit, Frexit, Grexit, questi saranno i temi del 2017, con le lezioni in Olanda, Francia, Germania e probabilmente Italia.

Niente di nuovo. Gli appuntamenti elettorali erano noti da tempo, la debolezza dei Paesi periferici anche. Non è neppure un segreto che la politica monetaria della Bce è a termine.  Un ribilanciamento della situazione sul fronte spread è anche auspicata. Aspettiamoci per l’Europa un anno di turbolenza, ci sono le elezioni e ai politici non interessano i mercati ma i voti.

L’Exit rafforza il dollaro e indebolisce l’euro, bene per i titoli dollar sensitive. Sul fronte valutario la lira turca ha messo a segno un buon recupero, mentre peso messicano sembra destinato a rimanere debole in una guerra davvero dura da vincere con la chiusura di Trump. La sterlina è in attesa delle decisioni politiche sul Brexit ma i dati macro evidenziano che una moneta debole non fa poi così male all’economia inglese. Il cambio euro/yen ha invece rotto la fascia di supporto a quota 120 toccando i nuovi minimi dell’anno. A brillare in un periodo di incertezza è sempre l’oro tornato sopra i 1,230 dollari l’oncia, per la prima volta dallo scorso novembre, il franco svizzero vola sui massimi dall’agosto del 2015 sull’euro. Ora basta scegliere: illudersi che la tartaruga terrà il passo o accettare le differenze.  A inizio anno abbiamo impostato i portafogli convinti che la turbolenza europea avrebbe caratterizzato il 2017 soprattutto sul mercato dei governativi mentre Wall Street macina nuovi record, anche se sui multipli appare un po’ cara. In attesa di novità elettorali meglio puntare sul pelide Achille.