Il dilemma del prigioniero

“Due sospettati, sono arrestati dalla polizia. Gli ispettori non hanno prove sufficienti per trovare il colpevole e, dopo aver rinchiuso i prigionieri in celle diverse, interrogano entrambi offrendo loro le seguenti prospettive: se uno confessa e l’altro no, chi non ha aperto bocca sconterà 10 anni di detenzione mentre l’altro sarà libero. Se entrambi non confesseranno, la polizia li condannerà ad un solo anno di carcere.  Se, invece, confesseranno entrambi la pena da scontare sarà pari a 5 anni di carcere ciascuno”, Il Dilemma del prigioniero, formalizzato da Albert W. Tucker.

Nel teorema classico, per evitare il massimo della pena, entrambi i prigionieri confessano, scontano così 5 anni a testa di carcere. Chiamato anche il teorema dell’irrazionalità, il dilemma del prigioniero è stato utilizzato per spiegare la corsa agli armamenti. Meglio non fidarsi degli accordi di disarmo raggiunti che rischiare di rimanere senza munizioni di fronte un nemico armato fino ai denti che non ha rispettato i trattati.

In economia non funziona così, si cerca di analizzare il problema a livello di sistema per scegliere la via che porta al costo minore e al massimo profitto. La soluzione è un approccio collaborativo ovvero con entrambi i prigionieri che non confessano. Il sistema sommerebbe il costo totale ovvero due anni di carcere sono meglio sia rispetto alla confessione di entrambi che a quella di uno solo.

La via di un neo-protezionismo estremo finora solo a parole, di Donald Trump, appare come la scelta del prigioniero di confessare. Chiariamoci, la situazione è più complessa, qui in gioco ci sono molti più prigionieri e la Cina da tempo ha confessato, non lasciando molti spazi di manovra agli altri giocatori. Nella partita il neo-protezionismo di Donald Trump si è rivolto soprattutto al vicino Messico, reo di drenare posti di lavoro dagli Usa.

Un altro teorema economico, quello della teoria dei vantaggi comparati e assoluti di Ricardo, spiega come per due Paesi (anche nel caso estremo in cui uno solo ha maggiore efficienza sulla produzione di tutti i prodotti), conviene scambiare merci per massimizzare la loro ricchezza specializzandosi nella produzione dove sono più efficienti.  Ora è sacrosanto che ogni Nazione scelga la via da perseguire, soprattutto in una fase in cui vi è molta attenzione sociale ai temi disoccupazione e integrazione ma non illudiamoci che nel lungo periodo questa rappresenti la soluzione migliore.

I mercati stanno pesando le parole neo-protezionistiche di Trump con le promesse di tagli fiscali e preferiscono aspettare i fatti lasciando gli indici americani sospesi sui massimi.

Non è successo lo stesso alla Borsa inglese (-2.5% in sei sedute). A confessare, infatti, è stata Theresa May. Il premier inglese (29 anni dopo il discorso pronunciato alla Lancaster House nel 1988 dall’allora Primo Ministro Margaret Thatcher favorevole a “un mercato unico senza barriere visibili e invisibili”) ha dichiarato l’opposto: “Quello che propongo non può significare la permanenza nel Mercato Unico”.

 

Nel Vecchio Continente le tensioni non sono minori, soprattutto in economia. Il presidente della Bce, Mario Draghi ha chiesto “pazienza” ai tedeschi. La Bundesbank stima per gennaio un’inflazione al 2%. La pazienza ha un limite e i trattati della Bce lo fissano ad un’inflazione al 2%, certo si parla di Eurozona e in periferia i prezzi sono ancora freddi ma i tedeschi stavolta hanno anche i numeri dalla loro parte.

Uniamo l’inflazione tedesca alle dichiarazioni di Trump e del segretario al Tesoro Usa, Steven Mnuchin, secondo cui “il dollaro è troppo forte” ed è presto spiegato il recupero dell’euro che ha toccato i nuovi massimi da inizio dicembre in area 1.0750.

L’incertezza sulle politiche monetarie e fiscali hanno richiamato gli acquisti sull’oro che si è riportato sui livelli di novembre aiutato anche dal calo del dollaro.

Sul fronte oil dopo l’accordo tra Paesi Opec e non, il prezzo del greggio appare congelato nella fascia 54/57 dollari, per il Brent. I mercati hanno ignorato l’aumento, il più marcato dal 2013, delle trivellazioni negli USA, ormai salite al massimo da quattordici mesi.  In Cina sono aumentate di quasi il 10% le importazioni di greggio a dicembre, con la Russia che ha sorpassato l’Arabia in termini di esportazioni di petrolio al colosso asiatico. In controtendenza si sono invece mossi nichel e gas naturale Usa.

I mercati azionari preferiscono aspettare indicazioni più chiare e concentrarsi sulle trimestrali.  Il 65% delle società dell’S&P che ad oggi hanno riportato i risultati trimestrali hanno battuto le attese degli analisti. Un buon risultato.

 

Bonjour Italie

L’Italia di certo non confessa, bloccando le brezze neo-protezionistiche che soffiano, invece, tra i populisti di Francia e Germania in vista delle elezioni.  Questa settimana si è celebrato il matrimonio Luxottica-Essilor, sullo sfondo Vivendi che dopo Telecom Italia punta a Mediaset. I francesi mettono così paura che Intesa si muove per blindare Generali da un interesse di Axa e forse Allianz. Anche Fca e Unicredit sembrano destinate ad avere una guida straniera.  Sarà debolezza, ma sono anche le prime vere prove per un mercato unico e se portano valore per gli azionisti: Bienvenue.              .