Il muro

«Se alzi un muro, pensa a ciò che resta fuori!»

Citazione tratta da Il barone rampante di Italo Calvino

 

«Non costruiamo muri, tiriamoli giù». Con queste parole, pronunciate durante la cerimonia di apertura della grande fiera di Shangai sulle importazioni, il presidente cinese, Xi Jinping, ha voluto ribadire la necessità di porre fine alle guerre tariffarie. Il politico asiatico sa che il benessere del commercio «resta fuori» dal muro del protezionismo. Forse, anche il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, lo ha capito.  Secondo il Financial Times, infatti, gli USA potrebbero rimuovere i dazi del 15% imposti lo scorso primo settembre su circa 112 miliardi di beni Made in China tra cui abbigliamento, elettrodomestici e monitor a schermo piatto, una concessione che aprirebbe la strada all’accordo con Pechino. La Casa Bianca, sempre secondo il quotidiano britannico, si aspetta qualcosa di più in cambio, ad esempio disposizioni rafforzate sulla protezione della proprietà intellettuale per le aziende a stelle e strisce, maggiori garanzie sull’entità degli acquisti cinesi di prodotti agricoli statunitensi e un accordo sul luogo in cui siglare l’accordo sul suolo americano, magari in Iowa. Inizialmente, la cosiddetta “fase uno” dell’intesa avrebbe dovuto essere firmata dalle due parti durante il vertice Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation), che era in programma il 16 e 17 novembre a Santiago del Cile e che è stato cancellato dal presidente Sebastian Piñera a causa delle tensioni scoppiate nel Paese latino-americano. I mercati guardano con attenzione ai possibili sviluppi della disputa tra Stati Uniti e Cina, nella speranza che vengano abbattuti tutti i muri.

Sempre in tema commerciale, gli USA hanno registrato a settembre un deficit pari a 52,45 miliardi di dollari, in diminuzione rispetto al risultato del mese precedente (55,04 miliardi). Lo ha reso noto il Dipartimento del Commercio americano. Il dato, inoltre, è inferiore al disavanzo atteso dagli analisti che stimavano 55,5 miliardi di dollari.

Dal punto di vista macroeconomico, le vendite al dettaglio delle catene nazionali statunitensi nella quarta settimana di ottobre sono salite dello 0,3% mese su mese. Mentre rispetto allo stesso periodo 2018 il dato è in crescita del 4,6%, come evidenziato dal Redbook Research Index.

Passando all’Europa, gli operatori guardano con attenzione al muro contro muro tra sostenitori della Brexit e “unionisti”. Il primo ministro del Regno Unito, l’euroscettico Boris Johnson, è stato ricevuto ieri a Buckingham Palace dalla regina Elisabetta, per informare la sovrana dell’avvenuto scioglimento della Camera dei Comuni, in vista delle elezioni anticipate già fissate per il 12 dicembre. Con la chiusura del ramo elettivo di Westminster, la campagna elettorale – in corso di fatto da alcuni giorni – è entrata nella fase ufficiale di 5 settimane garantite dalla legge del Regno Unito. Il premier Tory insiste sull’uscita immediata dall’Unione Europea, mentre il leader laburista Jeremy Corbyn punta a risolvere la questione Brexit in sei mesi, negoziando un nuovo accordo più “leggero” con Bruxelles da sottoporre poi a un secondo referendum.

Nel frattempo, rimane in contrazione il settore manifatturiero dell’area euro. A ottobre l’indice Pmi si è infatti attestato a 45,9 punti, contro i 45,7 di settembre a fronte di una stima preliminare a 45,7. Una leggera crescita che però rimane sotto i 50 punti, la soglia limite tra espansione e calo dell’attività. Facendo un focus sulla Germania, si vede un lieve miglioramento nel relativo Pmi (42,1 punti a ottobre rispetto ai 41,7 di settembre, il minimo da 10 anni).

I mercati, intanto, tengono i riflettori accesi su Christine Lagarde, che martedì ha parlato in occasione del suo primo “giorno lavorativo” da presidente della Banca Centrale Europea. La numero uno dell’Eurotower ha detto di avere «molte preoccupazioni sulla crescita delle idee estremistiche e sull’imbarbarimento della dialettica politica». Ora i mercati guardano al 12 dicembre, quando si terrà il primo Consiglio direttivo BCE sulla politica monetaria dell’era Lagarde.